di Danilo Franco

In Calabria numerose e varie sono le testimonianze riconducibili al suo trascorso industriale. Queste, ci aiutano a “riscoprire” una realtà che poneva la nostra regione, in un passato non molto lontano, come una tra le più industriose d’Italia non solo nel periodo pre-unitario, ma almeno per quasi mezzo secolo dopo.
Sul finire del XIX secolo Francesco Saverio Nitti, noto Meridionalista, nella sua “visione” di una possibile rinascita del Mezzogiorno, dopo la dismissione post-unitaria del suo apparato industriale, indicava nel “carbone bianco”, per produrre energia, una delle risorse primarie a cui rivolgersi per la ripresa economica del Sud Italia e, perché no, di un riscatto sociale del Meridione dopo la dismissione delle industrie a seguito dell’unificazione della penisola italiana.
Potrà sembrare strano, ma in molti paesi della Calabria, nonostante le ristrettezze economiche e senza contributi statali, furono impiantate piccole centraline idroelettriche un po’ ovunque.
La prima di cui si ha notizia è quella realizzata a Cosenza (1886) dai fratelli Leonetti, seguita da quelle di Mongiana (1879), Serra San Bruno (1891), Ferdinandea di Stilo (1892) dal Fazzari ed eredi.
Altre furono installate a Corigliano (1895), Bagnara (1904), San Fili (1905), Palmi (1906), Oppido (1906), Longobucco (1906), Reggio (1907), Gioia (1913), Motta San Giovanni (1913) e via discorrendo.
Nella variegata presenza di resti legati al trascorso industriale della Vallata della fiumara Stilaro, si inserisce l’attività di produzione di energia elettrica, che consentì il sorgere, lungo il corso della fiumara, di alcune centraline idroelettriche e, tra queste, la Centrale “Avvenire” di Bivongi.
Questa ventata di modernità che investì la Calabria, spinse, in un non ben precisato giorno del 1912, un gruppo di “illuminati” cittadini di Bivongi a costituire una società che avesse come scopo statutario la costruzione di una centrale idroelettrica, impiegando a tale scopo l’energia idraulica fornita dalla fiumara Stilaro.
L’idea, fu accolta con entusiasmo da gran parte della popolazione e, ben presto, si tramutò in realtà.
Il 16 febbraio del 1913 fu costituita, con rogito notarile del notaio Pasquale Taverniti, la Società Anonima per azioni a capitale limitato “L’Avvenire” di Bivongi, autorizzata ad agire con decreto del 13 giugno dello stesso anno dal tribunale di Gerace Marina (odierna Locri).
Componevano il primo Consiglio d’Amministrazione alcuni tra gli ideatori della stessa società e ne divennero soci gran parte dei cittadini del paese, alcuni dei quali, pur di diventare soci, prestarono la loro opera per la costruzione della centrale, rinunciando a parte del salario.
Notevoli furono le difficoltà che si dovettero superare per realizzare l’opera, dovute principalmente alle caratteristiche geo-morfologiche del sito prescelto per impiantare il corpo principale della centrale che, se da una parte risultava idoneo per l’utilizzo dell’acqua grazie a un dislivello adatto per la messa in opera delle condotte forzate e alla portata d’acqua, dall’altra risultava scomodo da raggiungere per la totale assenza di strade carrozzabili per il trasporto delle pesanti macchine.
Nel 1914, ad appena un anno dalla costituzione della società, la centrale fu ultimata e pronta a essere messa in funzione.
L’impianto sviluppava una forza pari a 240 cavalli, sufficiente per elettrificare il paese di Bivongi e qualche piccola industria locale. Si deve alla Società Moncalvi di Pavia la fornitura della parte idraulica dell’impianto, quella elettrica alla Società Ercole Marelli di Milano, mentre la parte edile, dove ubicare i macchinari, l’acquedotto che con una sola campata di circa 30 metri in cemento armato supera il corso del fiume, lo scavo del tunnel per far giungere l’acqua a un bacino di raccolta e da qui alla condotta forzata, l’erezione dei tralicci e il montaggio di gran parte dei macchinari, fu realizzata dalle maestranze locali, che per la perizia con la quale eseguirono i lavori, suscitarono ammirazione e apprezzamento nei tecnici lombardi.
L’inaugurazione ufficiale della centrale avvenne il 12 giugno 1914.
Dopo una breve visita ai locali della centrale i convenuti, tra cui figuravano tutte le maggiori personalità politiche, religiose e di governo della provincia, si ritrovarono nella sala del consiglio del comune di Bivongi, che allora contava circa 3.000 abitanti, in cui, dopo una breve cerimonia augurale, tra lo stupore generale, brillò la prima lampadina, alimentata dalla corrente generata dalla centrale “L’Avvenire” a coronamento dei tanti sforzi sostenuti dai soci.
Nel 1932 difficoltà economiche e forzature politiche costrinsero gran parte dei soci fondatori a cedere le proprie azioni alla Società Meridionale Elettrica che, nel 1926, aveva realizzato più a monte una grande centrale idroelettrica, la “Marmarico”.
La vecchia centrale “Avvenire” fu ribattezzata, dai nuovi proprietari, “Guida”, dal luogo in cui operava. Al fine di poter fornire energia elettrica ad altri paesi del circondario e per sopperire al periodo di magra estiva del fiume fu installato, in centrale, un motore supplementare a petrolio per integrare la forza delle due turbine del tipo “Francis”.
In seguito lo stesso motore, insufficiente allo scopo, fu sostituito da una centralina termica con motori Diesel, progettata dall’Ingegnere Campagna della vicina Riace, e realizzata da tecnici locali.
La centrale svolse il proprio ruolo per circa 40 anni, distribuendo ai propri soci dividendi annui che si aggiravano tra il 9 e il 16%, fin quando una delle tante alluvioni che la colpirono, quella disastrosa del 1951, la mise definitivamente fuori uso.
Oggi, a testimonianza di quella che fu una delle prime centrali calabresi, forse l’unica ancora esistente, anche se dismessa, restano il locale della centrale, uno stanzone di circa 120 m2 sulla cui facciata campeggia ancora la scritta “Centrale Elettrica Guida”, mentre sulle porte si nota un “S.A.” (che sta per “Società Avvenire”).
Al suo interno le due turbine del tipo “Francis”, restaurate di recente, alternatori, dinamo, un quadro comandi in marmo, tutti risalenti all’epoca di costruzione. Sparsi, lungo il corso dello Stilaro, a monte della centrale, i tubi della condotta forzata, il bacino di raccolta, l’acquedotto, cerniere, paratie e alcuni tralicci.
La centrale “Guida”, un raro esempio di archeologia industriale in Calabria, è stata restaurata grazie ai fondi FESR e fa parte del patrimonio culturale dell’Ecomuseo delle Ferriere e Fonderie di Calabria in via di realizzazione.
Essa, per l’interesse storico-culturale che riveste, sarebbe sicuramente da annoverare tra gli opifici nazionali di archeologia industriale da conservare e far conoscere come luogo della memoria dell’energia idroelettrica e del passato industriale calabrese.

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