di Danilo Franco

Achille Fazzari, fu una figura interessante e poliedrica che calcò per oltre 50 anni il palcoscenico politico, culturale ed economico del suo tempo.
Siamo nei decenni successivi all’unificazione dell’Italia e Fazzari meriterebbe sicuramente una maggiore attenzione e un approfondito studio.
Conosciamolo attraverso un artico de “Il Pungolo” di Milano del gennaio 1887:
“Achille Fazzari è uno dei più strani prodotti della epoca nostra, una specie di essere fantastico, che è un insieme di molte spiccate individualità, soldato, uomo di affari, giornalista, industriale, povero nelle sue origini, poi ricco e prodigo, che fece e disfece parecchie volte fortuna e posizione. Intimo di Garibaldi e amico devoto di Vittorio Emanuele, ammaliatore dell’uno e dell’altro, intermediario e paciere fra essi, da entrambi incaricato di missioni delicatissime, amico di Depretis e di Nicotera, ora al primo posto sulla scena politica, ora raccolto solitario e qualche volta sdegnoso fra le grandi ombre dei boschi, ignorante e colto, come vuole essere, garibaldino e moderato, uomo di cuore sempre. Capace di tutti gli ardimenti fisici e morali, volontà di acciaio, ingegno aperto e pronto e di tutto ciò che è grande, ardentemente, audacemente invogliato”.
Fazzari fu deputato del Regno e amico intimo di Giuseppe Garibaldi, acquistò negli anni ‘70 dell’800 gli stabilimenti siderurgici calabresi costituiti dalle fonderie e ferriere di Mongiana e Ferdinandea e da migliaia d’ettari di bosco. Inoltre divenne concessionario delle miniere di limonite presenti nel circondario di Pazzano.
Egli tentò di rimettere in sesto l’appena dismesso polo siderurgico pubblico Calabrese, ma dopo i primi timidi tentativi, fatti naufragare anche dal governo centrale, che non gli commise neppure un chiodo, dovette, per non fallire, riconvertire il proprio apparato siderurgico in una fiorente azienda agricolo-pastorale montana.
Fazzari, se da una parte tralasciò quasi del tutto i suoi beni di Mongiana, dall’altro puntò tutto su Ferdinandea, che grazie ai suoi interventi divenne per oltre quattro decenni non solo un centro economico di notevole importanza (segherie, centrali elettriche, acque minerali e via dicendo), ma anche un centro di cultura di notevole importanza (raccolte archeologiche, archivi storici e così via).
Fazzari, attento alle novità in campo industriale, impiantò una ferrovia e una teleferica, allo scopo di poter far giungere facilmente le sue produzioni presso il porto e la stazione ferroviaria di Monasterace Marina. Realizzata intorno al 1875, la linea ferroviaria che collegava la Ferdinandea a Monasterace era costituita da due tratte.
La prima congiungeva la località “Cerasarella” con la Ziia, passando per Ferdinandea, con un percorso di circa 20 km. Da qui, con carri, la merce veniva trasportata in località “piano Baracche” da dove partiva una teleferica (di 7 km) che giungeva sino a Bivongi, in località “stazione”.
In seguito, con carri, la merce veniva trasportata per circa 4 km sino ad una stazione ubicata nei pressi di “Bordingiano”, dalla quale, con il secondo tratto della ferrovia (10 km) si giungeva sino al molo di imbarco, realizzato sempre dallo stesso Fazzari, sito nei pressi dell’attuale piazza di Monasterace Marina.
Del tratto montano è ancora esistente il tracciato, anche se oramai i binari sono stati da tempo divelti.
Ancora oggi, sulle carte catastali, il tracciato viene denominato “strada ferrata Ziia-Ferdinandea”.
Il secondo tratto, dopo aver superato il corso del fiume Stilaro con un ponte di ferro costruito appositamente da Fazzari, seguiva l’attuale SS110 e giungeva così alla stazione ferroviaria mineraria di Monasterace e al molo d’imbarco.
Due erano le locomotive in funzione: due Decouville che rimasero in attività per oltre trent’anni. Di una di queste esistono i resti in un burrone nei pressi della fonte della Mangiatorella, mentre i binari, nel corso dei decenni, sono stati utilizzati per realizzare case e palazzi del circondario.

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