Ho letto “A un metro da voi”, di Daniela Rabia.
Lorian ha venticinque anni, è di Catanzaro e si sta laureando in Lettere.
Lorian abita a casa sua.
Cosa c’è di strano, chiunque abita a casa sua! Ma, se ci pensiamo: chiunque abita a casa come nel luogo dove studia o lavora, dove vede gli amici, dove ama stare da solo, dove incontra colei o colui cui vuole più bene, dove passeggia con il cane, dove va in vacanza, dove perde tempo, ricorda, si informa, piange e ride. Dove vive. Abitare è un luogo enorme, fuori e dentro di noi.
Invece, dai primi di marzo Lorian abita SOLO a casa sua.
Esattamente come decine di milioni di italiani, europei, terrestri. Come ognuno di noi, che ci siamo tappati dietro l’uscio per evitare di essere contagiati dal virus, e per fermarlo.
Daniela Rabia, con il suo “A un metro da voi”, ha voluto raccontare Lorian che abita a casa sua. Scrivere un romanzo non è facile: la storia non deve essere già stata scritta, lo stile deve correre, il personaggio vivere avventure interessanti… si può fare, di romanzi se ne scrivono. Ma il compito di raccontare Lorian a casa sua va ben oltre le difficoltà normali di scrivere un romanzo. Non solo racconta una storia nota, narrata ogni giorno attraverso televisione, radio, giornali e social. Ma in più è una storia che tutti noi viviamo e abbiamo vissuto, la conosciamo al millimetro perché ha toccato tutti.
La scommessa di questo libro però riesce. Soprattutto, perché Daniela Rabia resta fedele alla missione prima, forse la più essenziale, della letteratura: narrare da un punto di vista soggettivo, personale, originale e di sincerità.
Lorian restringe i suoi orizzonti di vita, addirittura si laurea tristemente via Skype: senza amici, coroncine e feste. Ma li allarga come mai prima gli era capitato nella vita, perché sono i suoi occhi, il suo animo a estendere il piccolo appartamento dove vive con i suoi.
Il cane Poldino è contento di essere portato in giro, ma si stanca anche di questo rito.
I vicini di casa, per un po’ di tempo, si uniscono in inni e auguri da balcone e balcone, come in tutta Italia; un modo di farsi forza, ma che dopo un po’ Lorian trova senza un vero senso.
La riscoperta del rosario quotidiano in casa, promosso da sua mamma con qualche vicina, che lui osserva con tenerezza ma anche con un cordiale intimo risentimento verso la Provvidenza.
Lorian si trova anche faccia a faccia con l’amore, che ha le fattezze dell’incantevole Giulia… ma anche quelle della scostante Giulia, la stessa Giulia, verso la quale sente un desiderio senza confini, ma che sa lontanissima da lui nel profondo da tanto è diversa. Una pessima situazione. Che però forse vede con chiarezza solo adesso.
Valuta quanto sia invece importante nella sua vita l’amico Fabio, da tempo compagno di svaghi, di studi e si intuisce di interessi intellettuali. Una stabilità nel tempo.
E così per ogni aspetto della sua vita. Fino al confronto, alla riflessione grande sia pure appena nominata riguardo l’abitare di Lorian e quello di ognuno di noi in questo 2020: la morte attorno, il motivo vero per cui abitiamo casa nostra e basta.
L’autrice abbraccia Lorian, ne ascolta il cuore, ce ne riporta le vibrazioni, coglie il fatalismo e l’attesa, la fragilità e la fiducia, rabbia per ciò che poteva già essere fatto, il vuoto del presente e la sparizione del futuro, l’anestesia del sentimento come sentimenti ed emozioni visti nella loro scarna essenza, sentirsi tutti e in sconfinata solitudine. Un mondo interiore eppure sociale al massimo grado, saggiamente narrato con uno stile diesel, sommesso e semplice, di frasi brevi e toni meditativi anche nei passaggi drammatici cui ci trascina di forza… nel grande dramma e nei drammi singoli ma altrettanto atroci, come la vicina di casa uccisa dal marito. Con il massimo della discrezione e del mettersi da parte, da narratrice umile e per questo capace di cogliere l’inedito anche quando tutti sappiamo tutto… le foto “immense” dell’infermiera esausta sulla tastiera del pc, di papa Francesco solo nel buio livido di piazza San Pietro, dei camion militari che lasciano Bergamo con le bare. Lorian è l’altra faccia: quella del pianto, della rivolta e dello sconcerto nel profondo dell’animo.
Eppure, in “A un metro da voi” resta il giusto posto per la speranza, semplicemente perché è ciò che succede nella vita vera. Dall’aiuto per la spesa che il padre di Lorian porta a una vicina fino alla fine della clausura, il ritrovare gli amici, il ritorno ai pensieri sul futuro.
Lorian, però, non è il solo protagonista, l’unico narrante.
L’altro si chiama Catanzaro, la sua città. Quasi sempre utilizza le parole di Lorian stesso, ma anche i ricordi del nonno al pari della vita prima del virus. Ci ricorda come era bella quando tanta gente si trovava nelle sue piazze. Si lagna e si arrabbia di brutto con tutti coloro che l’hanno amministrata come non si dovrebbe. Chiede timidamente di restare con lei, costruire di nuovo con lei resistendo all’idea di andarsene. Fa la lista di ciò che non va.
Un inno rabbioso e insieme dolce, che Lorian e Daniela si incaricano di lanciare attraverso la narrazione letteraria… simbolicamente, nell’ultimo capitolo l’epidemia è finita, le persone escono di casa. A Catanzaro, città per nulla raccontata al resto d’Italia durante la clausura da virus e poco anche prima, questo può succedere; altrove si gira ancora con mascherina e sospetti. Per me, che sono di Milano e che a Catanzaro e in Calabria non ci sono mai stato, in questo libro ho sentito la voce di questa città.
Infine, credo che “A un metro da voi” possa essere considerato un invito: la clausura di Lorian è stata particolare, come lo è stata sicuramente particolare quella di ognuno di noi. Ricordiamola, raccontiamola, pensiamo a ciò che di unico ci è successo… episodi, stati d’animo, le persone che abbiamo avuto intorno o vicine in qualche modo, ciò che si è aperto e ciò che si è chiuso nella nostra vita… chi forse e purtroppo ci ha lasciato.
Tutto ciò ha valore.
Abiteremo meglio. (Luciano Sartirana editore – Edizioni del Gattaccio)