Riflessioni sul risanamento e la valorizzazione dei beni storico-culturali ed ambientali della città: gli esempi del Castello col torrente Canne e delle Terme col parco Mitoio-Difesa

di Giovanna De Sensi Sestito* 


Giovanna De Sensi Sestito

Nell’imminenza delle consultazioni elettorali del 10 e 11 novembre prossimi e del conseguente insediamento della nuova Amministrazione comunale, ci è sembrato opportuno ripubblicare uno scritto di Giovanna De Sensi Sestito. L’articolo risale ai tempi in cui la studiosa dell’Università della Calabria rivestiva, nell’ambito della prima amministrazione Speranza, l’incarico di Assessore alla Cultura ai Beni ed alle Attività culturali.

L’articolo affronta il tema del turismo culturale nell’ambito della nostra città, soffermandosi in modo particolare su due siti importanti e conosciuti dall’intera popolazione lametina: il Castello Normanno-Svevo, con annesso territorio che lo circonda, e le Terme di Caronte, anch’esse viste nell’ottica di una sistemazione integrale del territorio circostante: il Parco Mitoio-Difesa.

Ci è sembrato opportuno riprendere quello scritto della De Sensi Sestito, ripetiamo, perché i problemi sollevati dalla docente universitaria lametina nel corso di quella congiuntura politico/amministrativa sono tuttora quasi del tutto irrisolti e, quindi, meritevoli di attenzione in auspicati programmi di intervento della futura amministrazione nel settore del turismo culturale. Sta a cuore di tutti i cittadini che intorno a punti vitali della storia e dell’identità cittadina si possano articolare, a beneficio di visitatori italiani e stranieri, percorsi di un turismo di eccellente valore sia ricreativo che culturale.

La Redazione


Nel numero precedente de “Il Lametino” sono stati affrontati alcuni problemi dell’area cosiddetta di Caronte-Mitoio (vedi articolo di Paolo Giura ed intervista del direttore generale delle Terme, Emilio Cataldi). Mi sembra utile riprendere l’argomento all’interno di una visione più generale che abbraccia altri beni storico-culturali ed ambientali della città, anche per fornire ai concittadini alcune indicazioni sullo stato attuale dei luoghi nell’area Caronte-Mitorio, che conosco bene per averlo personalmente rivisitato in un sopralluogo effettuato all’indomani della mia nomina ad assessore ai beni culturali.

Ebbene, l’attuale territorio della città di Lamezia presenta molte peculiarità storico-culturali e ambientali sia all’interno che all’esterno del suo articolato tessuto urbano. Per ciascuna di queste aree occorrono interventi diversi ed appropriati, che nella maggior parte dei casi sono interventi di risanamento ambientale, prima ancora che di recupero urbanistico e di valorizzazione culturale e turistica. Un esempio ben noto e che sta a cuore a tutti per il suo alto valore simbolico, è il castello di Nicastro, emblema ed ultima emergenza architettonica superstite di quello che fu il nucleo più antico della città bizantina, sorta, come altrove, arroccata su un colle naturalmente ben difeso e attorno alle sponde di un corso d’acqua, il torrente Canne, capace di assicurare anche le risorse idriche necessarie ai bisogni primari ed alle attività economiche della comunità. Grazie proprio a queste caratteristiche funzionali, la città ha conservato nel tempo il ruolo di principale centro urbano dell’intero comprensorio lametino, sin dall’arrivo di Roberto il Guiscardo e sotto la signoria della contessa normanna Emburga, e poi sotto gli Svevi e Federico II in particolare, ancora sotto gli Angioini e gli Aragonesi. Soprattutto dopo il terremoto del 1638 la struttura urbana si estese verso le sottostanti aree di pianura, ma fino all’800 i quartieri di Torre e S. Teodoro  rimasero i luoghi simbolo della comunità cittadina: tra la Cattedrale e il Castello diventato carcere, con la chiesa della Veterana, avevano sede il parlamento locale (“u Sìaggiu”), il Tribunale, tutti gli altri uffici pubblici e le principali attività.

L’intervento di restauro previsto sul Castello, per quanto importante, non esaurisce affatto le tipologie di intervento che sono necessarie nell’area: perché è tutto il quartiere che va recuperato non solo nella sua dimensione storica, ma innanzitutto nella sua vivibilità quotidiana, a partire dai servizi necessari. Ma subito dopo bisogna pensare al resto: il risanamento ambientale del torrente Canne, il ripristino degli spazi pubblici e degli edifici privati, il recupero e/o la rivitalizzazione delle dimesse attività artigianali lungo i suoi argini (ad es. i mulini). Occorrono – e in parte già ci sono – progetti mirati e occorrono risorse per realizzarli, ma c’è al riguardo l’impegno dell’Amministrazione a perseguire l’obiettivo con sistematicità percorrendo tutte le strade che possano prestarsi allo scopo ed affiancando quanti già lodevolmente si muovono in questa direzione. Tuttavia occorre anche, contestualmente, una fattiva e spontanea cooperazione dei cittadini del quartiere, che restano i soggetti primari del proprio sviluppo e che possono fare la loro parte, come anche iniziative recenti hanno mostrato, per rivitalizzare il quartiere: solo se si è certi di proporre luoghi non abbandonati all’incuria pubblica e privata, ma puliti, lindi, curati, con balconi e davanzali abbelliti anche solo di piante semplici da coltivare come i gerani, e brulicanti di vita, si può proporre al turista curioso di immergersi nell’atmosfera di un borgo antico un itinerario tra i vicoli suggestivi del nostro centro storico.

Analogo discorso potrebbe essere fatto (e non mancherà occasione di farlo) per diverse altre aree di Lamezia, sia che si tratti di altri quartieri storici (di Nicastro, Sambiase, S. Eufemia Vetere), sia che si tratti di aree di recente urbanizzazione, che hanno bisogno anch’esse di trovare “un’anima”, di acquisire vivibilità autonoma attraverso una fisionomia riconoscibile e soprattutto condivisa da quanti vi abitano. Ma in questa sede voglio richiamare un altro esempio emblematico, anch’esso ben noto a tutti per il suo valore ambientale, per lo più invece sconosciuto per il suo valore storico: l’Area delle Terme di Caronte.
Anche qui, come per il Castello, il problema da affrontare in modo risolutivo è più vasto e comprende non solo lo stabilimento termale, che rappresenta di per sé un struttura importante utilizzata anche sul piano produttivo ben al di sotto delle sue enormi potenzialità. Il problema investe l’intero tratto del corso del Bagni, dal Cimitero di Sambiase in su, col disordinato quartiere sorto all’intorno e le connesse aree boschive del parco Mitoio-Difesa.
Dovrebbe essere noto che il tratto finale della valle del Bagni lambiva il versante orientale dell’abitato di Terina e la foce rappresentò per secoli l’approdo più vicino alla città greca. Meno noto è il dato di fatto, anche da me recentemente documentato, che nel tratto montano, invece, la vallata del Bagni è stata interessata da fenomeni insediativi molto più precoci, risalenti alla popolazione enotria dell’età del bronzo e del ferro, e ininterrottamente continuati fino ai nostri giorni pur nel variare delle epoche e delle civiltà.

Due sono i fattori ambientali che hanno reso possibile questa plurimillenaria presenza umana in quest’area.
La peculiarità più nota è l’affioramento dentro il bacino del torrente Bagni di copiose polle di acqua sulfurea calda, dalle ben risapute proprietà terapeutiche, e per questo utilizzate in ogni tempo, provenienti dalle profonde scaturigini carsiche del Monte Sant’Elia, avamposto calcareo del monte Mitoio, contraddistinto dalla presenza di numerose grotte, cavità profonde e ottime sorgenti.   
Questa peculiarità ambientale, che ancora ai nostri occhi la rende particolarmente suggestiva, l’ha sempre resa di straordinario interesse per il valore curativo delle acque e il carattere religioso attribuito al fenomeno dalle popolazioni antiche e meno antiche succedutesi nel tempo (è un fenomeno ben noto e ricorrente in molti altri luoghi dell’Italia e delle Isole con caratteristiche analoghe).

Il secondo fattore peculiare, è costituto dalla naturale via di accesso dal mare alla regione montana interna offerta dal corso del Bagni, una vera e propria “scorciatoia” per chi, mercanti, pellegrini, soldati, o anche solo pastori e residenti, dovessero raggiungere a piedi dalla piana lametina il pianoro di S. Mazzeo e da lì il medio Savuto o viceversa. Ho dimostrato ampiamente che fu questa la via seguita dal generale turino Cleàndrida per portare un attacco a sorpresa su Terina, come millecinquecento anni più tardi fu questo il percorso di Roberto in Guiscardo per piombare nella piana di Nicastro. Ma fu questa anche una via percorsa dai monaci basiliani per raggiungere le loro mete nella Calabria settentrionale, dopo una sosta ristoratrice alle acque calde del Monastero dei Santi Quaranta Martiri. La stessa origine del culto del santo guaritore, San Biagio, e quindi il lontano antefatto della nascita di Sambiase, si riconduce all’insediamento dei monaci basiliani presso le acque terapeutiche di questo Monastero, di cui restano tracce di mura sul monte S. Elia. Per quanto distrutto dal terremoto del 1638, fino alla Cassa Sacra a questo Monastero continuarono ad appartenere vastissimi beni che inglobavano l’intero sistema montuoso del Mancuso-Mitoio-S. Maria.

Questo retaggio storico, ignoto ai più, consente di riempire di contenuti culturali e di costruire con essi plausibili percorsi di turismo culturale nell’area di Caronte, capaci di rimetterla al centro, molto più di quanto già non lo sia, di iniziative culturali e soprattutto stimolarne le attività produttive. Ma anche qui il primo passo è costituto dal risanamento ambientale della valle del Bagni e delle sue fiancate; urge la bonifica definitiva delle cave, in cui un’attività estrattiva senza limiti ha inferto danni incalcolabili alla storia della città (distruggendo grotte di antichissima frequentazione e probabili siti archeologici) ed alla sua immagine: l’immensa voragine bianca di una montagna sventrata rappresenta il primo squallido segno d’aver raggiunto Lamezia per chi arriva in aereo o in autostrada. La cava interna (quella cosiddetta di Palmieri) ormai abbandonata da tempo non solo non è stata risanata, ma è diventata, in più punti, una discarica abusiva a cielo aperto; e la bella struttura dell’anfiteatro incastonata nel Mitoio, promessa di attività culturali mai decollate, è stata investita e quasi totalmente distrutta da crolli che, anche agli occhi di un profano come me in materia geologica, nulla hanno di naturale e di casuale. Il bel parco Mitoio-Difesa, ultimo lembo di proprietà comunale dei vasti possessi dell’abbazia dei Santi Quaranta, al retaggio storico unisce un manto boschivo di ineguagliabile pregio, risorsa preziosa a così breve distanza dal mare: ma non è un bene realmente fruibile e da proporre a turisti alla ricerca di amene passeggiate e salutari escursioni nei boschi, come non lo sarà l’intera area di Caronte, fin tanto che gli sforzi pubblici (e anche, perché no, quelli di privati) non concorreranno a riportare nell’area legalità, risanamento, migliore accessibilità e capacità progettuali che siano in grado di intercettare risorse da destinare a tutto ciò. Ad operare in questo senso, con determinazione e volontà, la nuova Amministrazione comunale sente di doversi impegnare nei prossimi anni.

 

*Assessore alla Cultura, ai Beni ed alle Attività culturali nella prima amministrazione Speranza.  Professore ordinario di Storia greca e Storia della Magna Grecia presso l’Università della Calabria.

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