di Sara Ficocelli – video di Anna Benedetto

Rosaria Talarico tra le montagne di Panettieri

Abbiamo visitato due realtà esempio di sviluppo rurale sostenibile e rilancio turistico nel segno della qualità, cresciute anche grazie alla programmazione e al finanziamento di interventi nel settore agricolo

LA STRADA che porta a Panettieri, borgo montano di 300 abitanti nel cuore della Sila piccola, è ripida e tortuosa, ma a bordo di una Panda 4×4 arriviamo facilmente a destinazione. Siamo a mille metri sul livello del mare e a un’ora di macchina dal mare stesso, quello limpido di Falerna Marina, che ogni sera si mangia l’arancia rossa del sole in uno dei tramonti più belli della Calabria; il Mediterraneo è vicino ma quassù si respira aria di montagna, e più che nel sud Italia sembra di stare in Québec.

 

Ad accoglierci, sulla soglia di un rudere in costruzione, circondata da operai al lavoro, c’è Rosaria Talarico, imprenditrice agricola 40enne con un passato da giornalista e un futuro dal nome promettente: Fiego, come il fiumiciattolo che attraversa la valle, carico di trote saporitissime. Così si chiama anche la sua “fattoria brigantesca”, realizzata su un terreno di famiglia grazie a un finanziamento di 250mila euro di fondi europei, su un costo totale di progetto pari a 500mila euro. “Era un sogno che io e i miei avevamo da anni – racconta – e finalmente nel 2017, dopo i primi 80mila euro di finanziamento, abbiamo iniziato i lavori. Alleveremo suini neri di Calabria allo stato semibrado, per poi produrre salumi di eccellenza. Un salumificio rurale artigiano, nel rispetto dell’ecosistema e degli animali. L’obiettivo è diventare un punto di riferimento per i prodotti di alta qualità in tutta la Sila”.

Rosaria Talarico nella sua “fattoria brigantesca”

Ha le idee chiare, Rosaria, e non potrebbe essere altrimenti, visto che a guidarla è la ragione del cuore: Fiego (“hjegu”, secondo la pronuncia locale) sorge infatti tra le montagne che vide le scorribande di Giosafatte Talarico, brigante che seminava il panico tra i signorotti calabresi e difendeva i contadini dai soprusi della nobiltà locale. Sulla sua vita lo storico Salvatore Piccoli ha scritto un libro, “La leggenda di Giosafatte Talarico – Brigante di Panettieri”, e Gilberto Tofano nel ’61 ha girato un film con Giorgio Albertazzi e Ornella Vanoni, ma il tributo più significativo è forse proprio quello di Rosaria, che ha ribatezzato “brigantesca” la fattoria, a dimostrazione del fatto che per venire a fare l’imprenditrice in un posto del genere devi per forza essere anche tu un po’ brigante (o brigantessa).

Giosafatte è però solo un tassello nel mosaico di emozioni che legano questa donna a questa terra: la vallata appartiene alla sua famiglia da generazioni, ed era tra questi boschi di castagno che il padre Giovanni, scomparso nel 2001, si sentiva veramente a casa. “Era un esperto del settore lattiero-caseario – racconta – e, fino alla morte, è stato direttore di un istituto professionale per l’agricoltura a Lamezia, la nostra città. Ma appena poteva veniva a rigenerarsi a Panettieri, il paese in cui era nato, fra le terre e le case costruite dal nonno. Aveva anche otto mucche…”. Difficile fare i conti con i ricordi quando hanno i profumi e i sapori della Calabria, è tutto troppo intenso e viscerale per essere messo in secondo piano da un lavoro, un marito e una casa a Roma. “Sentivo che dovevo tornare, fare qualcosa per la mia terra. Lo dovevo a mio padre”.

Uno scorcio dell’Agriturismo Modi

Fino al 2016 i castagneti erano stati flagellati dal cinipide, un insetto che azzera la produzione dei frutti, ma nonostante questo nessuno in famiglia ha mai avuto intenzione di vendere. Ma come fare a mettere su un allevamento sostenibile con annesso salumificio artigiano in una zona tanto depressa e abbandonata? Il Programma europeo di sviluppo rurale, principale strumento operativo di programmazione e finanziamento per gli interventi nel settore agricolo, forestale e rurale sul territorio regionale, serve proprio a questo, e ha tra gli obiettivi strategici il miglioramento della competitività dell’agricoltura, la gestione sostenibile delle risorse naturali e l’azione per il clima e uno sviluppo territoriale equilibrato per le zone rurali. Gli stessi alla base del progetto Fiego, che oltre che di salumi si occuperà di coltivare, promuovere e vendere i prodotti simbolo della Sila, dalle patate dop alle mele alle castagne, passando naturalmente per i prelibati porcini. E così, con buona pace del consorte Leo, che pazientemente l’aspetta al rientro da ogni sua trasferta calabra, da ormai tre anni Rosaria fa la pendolare tra Roma e Panettieri, animata dal sogno di restituire a questa terra dimenticata lustro e visibilità. Allevamento, salumificio e bed & breakfast saranno ultimati nel 2020 ma al momento è già possibile trascorrere un paio di notti nella struttura, anche solo per godere di un bel panorama e aria fresca. “Il grosso del lavoro è stato ultimato ma c’è ancora molto da fare – continua – e confesso che non è stato facile arrivare fin qui: solo una testa dura calabrese come la mia poteva farcela. Devo molto ai miei due fratelli e ai miei consulenti, che mi hanno aiutato negli intoppi burocratici”.

La Calabria è quarta nella classifica delle regioni italiane beneficiarie delle politiche di coesione, dopo Puglia, Sicilia e Campania. Ma tra le ultime – insieme a gran parte delle stesse regioni meno sviluppate – nella graduatoria dell’attuazione delle politiche stesse, e del concreto avvio dei pagamenti, per quanto, come precisa Francesco Aiello, ordinario di politica economica all’Università della Calabria, “a livello di governance, la Regione ha attuato una rilevante innovazione di processo nella comunicazione, con la pubblicazione di un’anteprima dei bandi (cosiddetta ‘pre-informazione’)”.

Uno scorcio dell’Agriturismo Modi

Da Lamezia ci spostiamo nella locride, nella tenuta del barone Francesco Macrì: l’Agriturismo Modi di Gerace, tra l’antico borgo e il sito archeologico di Locri Epizephiri, è uno dei – pochi – fiori all’occhiello di questa parte della Calabria, tristemente famosa per questioni relative alla ‘ndrangheta ma altrettanto ricca di risorse e potenzialità. “Ho avuto accesso ai primi fondi europei nei 1995, per l’agrumeto: mi diedero 40 milioni delle vecchie lire”, ricorda il barone. “Questa è una terra meravigliosa ma meriterebbe più rispetto, più efficienza, rappresentanti di spessore”. L’Azienda Agricola Barone G. R. Macrì – dal nome del padre, Giuseppe Raffaele – è una perla incastonata tra colline ricoperte di uliveti e vigneti che affacciano sul mar Jonio e profumi di bergamotto e miele. Il barone Macrì adora la sua tenuta e per lei è sempre stato disposto a rischiare: “Mio padre non faceva investimenti, voleva stare tranquillo. Io vent’anni fa ho deciso di complicarmi la vita…”, racconta con ironia.

Animali nell’Azienda Agricola Barone G. R. Macrì

Nel corso di due decadi questa terra è stata curata, coltivata e trasformata da pietra a gemma conosciuta in tutto il mondo, un’eccellenza italiana estranea a ogni tipo di logica e interesse criminale. Complice del miracolo, l’Europa, che con molteplici e continui finanziamenti ha contribuito alla costruzione di quasi ogni singola parte della tenuta e dell’agriturismo. “Il secondo intervento – continua il barone – ha riguardato l’ex stalla, che nel 1999 è stata trasformata in ristorante: abbiamo ricevuto un finanziamento di 100 milioni su un totale di 200, ma per realizzare il tutto abbiamo speso molto di più. Il casino di campagna è stato trasformato in agriturismo. Anche le vecchie mura del frantoio sono state ristrutturate nel 1999 grazie a un progetto europeo”. Nel 2002 dall’Europa arrivano 200 milioni delle vecchie lire per rimettere in sesto la stalla. Nell’azienda pecore, mucche e capre vengono allevate in condizioni invidiabili, pascolando liberamente nei campi e con macchine massaggianti e musica classica in filodiffusione al momento della mungitura. Per i capannoni destinati agli animali sono stati ricevuti dall’Europa 500 mila euro di fondi per l’agricoltura, su un totale di 1,2 milioni.

“E poi c’è il vino: un’avventura cominciata nel 2003”, racconta con orgoglio il barone, che in totale possiede più o meno 800 ettari di terra. “Oggi abbiamo due punti vendita, uno a Gerace e uno a Locri, e sono molto soddisfatto dei risultati ottenuti. Abbiamo ripreso i vitigni della zona: il nerello calabrese, il greco nero, il greco bianco, il mantonico e l’ansonica, e persino spumantizzato per la prima volta un vitigno autoctotono”. Per le attrezzature l’azienda ha ricevuto dall’Europa 150mila euro su un totale di 300, per i vigneti 55mila su un totale di 85. Nel 2005 è stata la volta delle serre – quattro ettari di ortaggi in coltivazione protetta – , collaudate nel 2012 grazie a un finanziamento di 425mila euro di fondi.

Uliveti dell’Azienda Agricola Barone G. R. Macrì

L’elenco degli interventi fatti in realtà è sterminato così come quello dei finanziamenti ricevuti ma una menzione speciale la meritano i 90 ettari di piantagione intensiva di uliveti – della varietà autoctona grossa di Gerace, in corsa per la Dop, a duplice attitudine – che ogni anno producono un olio da tavola dolce, meno piccante e amaro di quelli tradizionali, perfetto per i piatti delicati e ricco di acido linoleico, buono per colesterolo, e di lignani, che contrastano le masse tumorali. “Le olive sono talmente buone – spiega Giuseppe Fragomeni, direttore dell’azienda e braccio destro del barone fin dagli esordi – che sono 20 anni che le esportiamo negli Usa, aromatizzate con peperoncino, finocchietto e aglio, secondo la ricetta classica calabrese. Per gli uliveti abbiamo ricevuto 600 milioni di fondi su un totale di 1,2 miliardi”. Numeri da capogiro ma basta fare una passeggiata nella tenuta Macrì per capire che per realizzare il tutto è stato speso molto di più. Nel 2003 sono arrivati 100mila euro per le api e nei 2010, grazie a un fondo da 40mila euro, è stato creato il profumatissimo bergamotteto. L’ultimo finanziamento risale al 2013: 90 mila euro per piscina e maneggio. “Spesso e volentieri – spiega Fragomeni – investiamo in settori che si rivelano produttivi, e lo facciamo solo perché c’è un finanziamento in quel campo. Usiamo i progetti come guida per l’ampliamento di nuovi orizzonti, per così dire. Ma servono tempi certi e celeri, aiuti maggiori da parte degli istituti di credito. C’è tanto lavoro da fare e la buona volontà del singolo, da sola, non basta. Non in Calabria”.

Lasciamo questa terra magica con un pizzico di nostalgia e in bocca ancora il sapore dei piatti assaggiati al ristorante dell’agriturismo, preparati usando solo prodotti aziendali. Quasi un unicum nel panorama italiano. Il pensiero dominante è: “Si può fare”. Con le idee giuste, le persone giuste, le riforme giuste, i presupposti per salvare la Calabria da se stessa ci sono tutti.

Il progetto è realizzato con il contributo della Commissione Europea. Dei contenuti editoriali sono ideatori e responsabili gli autori degli articoli. La Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsivoglia uso fatto delle informazioni e opinioni riportate.

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