La Certosa e il contesto territoriale: storia, paesaggio, archeologia per lo sviluppo del Patto relazionale delle Serre*
di Giovanna De Sensi Sestito**
Ringrazio il Presidente regionale del Movimento dei Liberi & Forti dr. Pino Campisi per avermi coinvolta in una iniziativa alla quale attribuisco un grande valore. Credo fermamente nella necessità di una spinta autopropulsiva dei nostri territori, se prendono consapevolezza delle potenzialità che possiedono e sono aiutati con le competenze giuste a metterle in valore agli occhi delle comunità stesse, prima ancora che agli occhi dei possibili turisti. Animata da questa convinzione vent’anni fa, partecipando a un bando dell’allora Ministero del Turismo, ho potuto creare nell’Università della Calabria il Centro Herakles per il turismo culturale; con i colleghi e i numerosi collaboratori retribuiti che abbiamo coinvolto, abbiamo costruito una banca dati, un corso di laurea interfacoltà di Scienze turistiche, un master europeo per la gestione dei Beni culturali europei, e anche costruito, partecipando al bando delle Casse di Risparmio del 2005, un progetto il distretto culturale Area dell’Istmo, che dopo la fase sperimentale non ha avuto seguito, in attesa di una legge regionale sui distretti culturali, ma è diventato un riferimento costante in vari progetti: forse era ancora prematuro nella mentalità della nostra regione, ma i programmi europei hanno continuato ad offrire opportunità di sviluppo e altre regioni ed altre nazioni hanno saputo utilizzarle meglio di noi, pensiamo alla Sardegna e alla Puglia, alla Spagna e al Portogallo.
Gli esperti che hanno parlato prima di me hanno illustrato le misure oggi previste in programmi europei di sostegno allo sviluppo di attività imprenditoriali calibrate sulle risorse locali disponibili, alla nascita di imprese orientate all’innovazione. Ma ci sono anche quelli che riguardano la valorizzazione dei borghi e il potenziamento delle aree interne, della montagna; un progetto regionale si potrebbe allacciare ad una di queste misure per attingere le risorse necessarie per far partire progetti auto-sostenibili di sviluppo territoriale, attivando anche la leva del turismo culturale integrato.
Il territorio calabrese si presta sia per l’uno che per l’altro programma di valorizzazione, per la sua diversificazione e la sua specificità nei diversi sistemi montuosi che la compongono, e per il gran numero di borghi che hanno conservato la loro fisionomia originaria, che non sono strati stravolti da una cementificazione scriteriata.
Il progetto di patto relazionale di cui si discute in questa sede ha indubbiamente le carte in regola per poter essere declinato sui diversi programmi. Mi limito ad illustrare qui di seguito gli ambiti per i quali l’Area delle Serre dispone di risorse peculiari da cui partire.
1.Archeologia tradizionale e archeologia industriale
Il gruppo di comuni coinvolti in questo progetto di patto relazionale insiste sul versante centro-occidentale del massiccio delle Serre, una regione montana con cime meno elevate di quelle presenti negli altri sistemi montuosi calabresi, ma altrettanto suggestive e ricche di storia, come risulterà evidente dal volume su La montagna calabrese, che sta per uscire per i tipi delle edizioni Rubbettino.
Della specifica realtà montana delle Serre mi interesso da tempo, in quanto area interna di confine fra quattro grandi città antiche del passato, Caulonia (Monasterace Marina) e Locri sul versante ionico, Ipponio (Vibo) e Medma (Rosarno) sul versante tirrenico, colonie di Locri. Diversi i valichi di montagna che da millenni consentono di passare da un versante all’altro, come il passo di Pietra Spada e quello di Pietra del Caricatore sui fianchi del Monte Pecoraro, il più alto delle Serre con i suoi 1423 m., e davano accesso all’area mineraria più importante della Calabria, quella tra Pazzano, Stilo e Mongiana. Ai caratteri tipici dell’economia della montagna, costituiti dalla pastorizia e dai prodotti dell’allevamento da una parte, dallo sfruttamento delle vaste distese di boschi dall’altra, questa particolare area interna offriva per di più cospicui affioramenti di minerali vari, soprattutto ferrosi. Ricerche recenti stanno sempre meglio documentando una radicata presenza indigena in questa area interna dall’età del bronzo all’età del ferro e fino al VII sec. a.C., ricordata in chiave mitica dal poeta Licofrone con il regno dell’amazzone Cleta, distrutto dalla fondazione della città greca di Caulonia sul promontorio di Stilo. La prosperità di Caulonia dipendeva molto da queste risorse boschive e minerarie dell’interno e la metallurgia rivestiva nella città una funzione importante posta forse sotto la tutela del maggior santuario urbano, quello di Zeus Olimpio oggetto di scavi sistematici. Per due secoli Caulonia fu sotto attacco da parte di Locri e delle sue due colonie tirreniche per il controllo di queste aree interne, finché non le conquistò per loro Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa, legato a Locri da vincoli matrimoniali di alleanza politica e militare.
Nel corso del tempo, di queste risorse hanno continuato a godere i Romani, i Bizantini, i Normanni, gli Angioini e gli Aragonesi, finchè nel 1768 Ferdinando di Borbone re di Napoli non vi fece costruire le Reali officine e la Fabbrica d’armi. Oltre ai minerali ferrosi l’area disponeva del legname e dell’acqua necessari ai vari processi di produzione. Vi sorse un centro abitato per le famiglie degli operai che raggiunsero e superarono le 1000 unità; Vincenzo Falcone nel suo volume sulle ferriere di Mongiana del 2007, (che giustamente definisce un’occasione mancata) ha accertato che erano arrivati fino a 1500 gli addetti che vi lavoravano a qualche titolo. Con un finanziamento europeo per un bel programma di archeologia industriale, sono state restaurate le strutture e rese visitabili; arricchisce la visita a questi luoghi la creazione nel 2013 di un museo multimediale, dove si conservano e sono adeguatamente illustrati i tipi di produzione, che non si limitavano solo alle armi e ai famosi fucili, ma anche rotaie per le ferrovie allora nascenti, campane e utensili vari; un museo che racconta anche delle capacità tecniche profuse nella creazione della struttura, della fatica e dello sfruttamento degli operai che vi lavorarono per un secolo, dello stile di vita di quella piccola comunità che era cresciuta intorno alla fabbrica. Quando nel 1874 le Regie officine furono vendute all’asta vennero praticamente chiuse,… quanti erano arrivati da fuori a lavorare nelle ferriere se ne andarono a Trani… ma quelli del luogo rimasero a vivere in un comune a oltre 900 m di altitudine, come da sempre avevano fatto i loro antenati e come avrebbero continuato a fare i loro figli.
2.Ambiente – paesaggio – paesaggio culturale
A dispetto dell’emigrazione e della modernizzazione, forse in ragione di queste sue varie risorse, utili in ogni tempo, forse per l’atavico attaccamento degli abitanti della montagna alle loro vette e ai loro alberi, l’area accoglie e mantiene, oltre a Mongiana, una serie di piccoli insediamenti urbani anche a quote decisamente di montagna: a oltre 700 m c’è Serra S. Bruno, a oltre 1000 Nardodipace, e tanti altri. Piccoli borghi aggrappati alle montagne e incastonati tra fitti boschi da qualche tempo ricadenti nel Parco Naturale Regionale delle Serre, presidio importante per la loro salvaguardia, ma anche struttura preziosa e di richiamo per gli amanti della natura e del trekking di montagna.
Un contesto ambientale che ha conservato i suoi tratti originari, ma in cui la presenza delle attività umane nei millenni ha lasciato tracce più o meno grandi, quale più quale meno chiaramente riconoscibile, delle comunità che hanno abitato e abitano quei luoghi. Fare la storia dei luoghi è sempre fare una storia dell’azione dell’uomo al loro interno, che è ciò che fa di ogni luogo un paesaggio culturale, un luogo che l’antropizzazione ha reso meglio riconoscibile, come condensato di natura e storia, che può essere raccontato proprio perché è stato scenario di vicende umane nel tempo, per come definito dalla Convenzione europea del Paesaggio, 2000.
3.Luoghi della fede
Ma non è solo la fatica dell’uomo ad aver qui lasciato le sue tracce: questo scenario montano di inenarrabile quiete fra terra e cielo ha precocemente accolto e custodito esperienze straordinarie di spiritualità e di fede, che restano tuttora punti di riferimento importanti per la Calabria contemporanea.
Quella più antica e ancora attiva a 900 anni dalla fondazione è proprio la Certosa di Serra S. Bruno. Sono gli uomini che fanno la storia, e in questo caso si tratta di Urbano II, il papa che in difficoltà a Roma nel 1090 circa chiama il suo Maestro dalla Certosa di Grenoble da poco fondata, Brunone di Colonia, e con lui raggiunge il ducato di Calabria, retto dal fedele Ruggero d’Altavilla, il normanno signore di Mileto, che concede a frate Bruno, che non vuole diventare vescovo, un fondo del suo patrimonio nelle Serre per costruirci un monastero, e Bruno vi fonda prima l’Eremo di Santa Maria della Torre, poi il monastero di S. Stefano del Bosco. Non starò a ricordare proprio qui a Serra la storia della Certosa che tutti conoscete meglio di me, nelle varie fasi, dal passaggio all’ordine cistercenze a cento anni dalla fondazione, al ripristino dell’ordine certosino all’inizio del ‘500, al terremoto del 1783, che fu disastroso qui come per tutta la Calabria, alla chiusura nel decennio francese, ecc. fino alla rinascita nel ‘900 e all’attuale risistemazione che ne garantisce la parziale visita e l’accesso al Museo e alla ricca biblioteca. Dietro alla storia delle strutture, più volte rifatte, si cela la storia nascosta di una religiosità contemplativa e ascetica e la storia di comunità e di feudatari che hanno messo il loro impegno e le loro risorse per far rinascere le strutture.
Oltre a quello del 1783, anche altri terremoti precedenti hanno segnato la storia dei paesi del circondario e di altre strutture religiose che ancora mantengono, per quanto diventati ruderi, un fascino particolare e un valore straordinario. Mi riferisco ai ruderi immersi nel bosco del convento di S. Francesco di Paola di Soreto, nel comune di Dinàmi, uno di quelli eretti quando ancora il frate era in Calabria, e che ebbe un ruolo attivo nelle cause di beatificazione del santo.
Penso soprattutto ai ruderi maestosi del convento e della chiesa dei Domenicani a Soriano, altra imponente struttura monastica, fondata nel 1510, impreziosita da un dipinto achiropito di S. Domenico, distrutto da ricorrenti terremoti e ricostruito con straordinaria munificenza nella seconda metà del ‘600, per essere ancora una volta abbattuto dal terremoto nel 1783; il prezioso Museo dei Marmi rende testimonianza della ricchezza di opere d’arte in marmo bianco alcune della scuola del Bernini e qualcuna forse dello stesso Bernini, come ha bene illustrato lo studio che gli ha dedicato Mario Panarello. Anche questo monastero è stato soggetto a chiusura napoleonica e a soppressione dopo l’Unità d’Italia, (come quello di Nicastro, invece ricostruito ed utilizzato in vario modo), ma lascia una splendida basilica-santuario di stile tardo-barocco. Era stato il più grande monastero domenicano del sud, centro di cultura con una grandissima biblioteca e annessa stamperia, in cui si riproducevano non più a mano su pergamena, come si era fatto secoli nei nostri monasteri, ma a stampa i volumi, soprattutto i testi sacri ma anche i testi dei padri della Chiesa, dei filosofi antichi ecc. su cui i dotti frati studiavano, come Tommaso Campanella. A Lamezia la Casa del libro antico accoglie e propone ai visitatori i testi recuperati delle biblioteche dei domenicani e dei Cappuccini; a Soriano la tradizione è stata raccolta e idealmente continuata dalla Biblioteca calabrese di Soriano, nata quaranta anni fa per felice iniziativa del preside Nicola Provenzano e diventata un Istituto di cultura importante nella regione, perché oltre ai 20.000 testi antichi accoglie altri 40.000 volumi tutti sulla Calabria, ospita il Gabinetto Regionale delle stampe antiche calabresi, oltre tremila stampe e disegni (carte geografiche, paesaggi, vedute, costumi, ritratti di calabresi illustri, episodi storici, ecc.. ), pubblica la rivista Rogerius, organizza mostre periodiche oltre a fare servizio di biblioteca aperta al pubblico.
4.Borghi, architettura e tradizioni
Di strutture religiose se ne potrebbero richiamare ancora tante, a partire dalle altre chiese di Serra e da quelle presenti nei singoli comuni, ciascuna con le proprie peculiarità. Potremmo spostare l’attenzione alle strutture dei borghi, quasi tutte frutto di ricostruzione post-terremoto: un esempio per tutti: Castelmonardo, ricostruita ex novo come Filadelfia col suo piano urbanistico modellato sulla Filadelfia americana. Potremmo parlare, ma gli antropologi lo hanno fatto e potranno farlo meglio di me, degli stili di vita di queste comunità, delle tradizioni artigianali e popolari, dei diversi ‘saperi’ codificati e tramandati, adatti a far risaltare i caratteri specifici della identità di ciascun centro, pur entro una cornice storica comune.
C’è tutto un patrimonio ambientale e culturale fatto di paesaggi, di storia, architettura, arti varie, archeologia, artigianato, saperi antichi, di religiosità profonda che promana da questi luoghi, che costituiscono altrettanti buoni motivi per impegnarsi a evitarne lo spopolamento, a trattenervi i giovani, ormai molto acculturati, che possono mettere il loro sapere contemporaneo al servizio dei saperi antichi per organizzarne una fruizione consapevole, integrata, adeguata alle esigenze di un turista non necessariamente colto, ma certo sensibile al fascino della natura, del sacro, delle memorie, del passato radice del presente, della quiete e del buon cibo, delle passeggiate nei boschi… Abbiamo troppo banalizzato il nostro potenziale turistico riducendo solo a quello di massa del turismo balneare, e anche quello di élite dei club mediterranee e Valtur non fa un buon servizio alla Calabria, rinchiudendo in recinto dotato di tutti i servizi i suoi ospiti in strutture di svago autosufficienti. Un turismo integrato di nicchia, che se ben organizzato e bel coltivato, con predisposizione di servizi vari che fanno di per sé economia, può far riscoprire anche ai residenti il valore dei luoghi in cui hanno la fortuna ma anche il coraggio di continuare ad abitare.
*Il presente articolo è la trascrizione della relazione tenuta il 24 febbraio di quest’anno in occasione della presentazione del ‘Patto relazionale della Certosa’ a Serra San Bruno.
**Professore ordinario di Storia Greca e Storia della Magna Grecia presso l’UNICAL – Presidente del Centro Herakles per il Turismo Culturale dell’Università della Calabria.