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Quale futuro per la Calabria – di Giovanna De Sensi Sestito

Decimo Festival della Dottrina sociale della chiesa: Memoria del futuro

Intervento di Giovanna De Sensi Sestito

Saluto il nostro Vescovo, S.E. Mons. Giuseppe Schillaci, tutti gli altri intervenuti e ringrazio il dott. Giuseppe Campisi di avermi coinvolta in questa riflessione sul futuro della Calabria.

La dottrina sociale della Chiesa offre da tempo indicazioni puntuali su come ‘vivere’ il Vangelo nelle situazioni concrete della vita, del lavoro, dell’economia, della politica. Due documenti ‘profetici’ li ha ora aggiunti Papa Francesco con le encicliche «Laudato si’» e «Fratelli tutti», che ci invitano alla salvaguardia del creato e alla fratellanza universale e interpellano la nostra responsabilità di cristiani verso quell’angolo di creato in cui ci troviamo e ci impegnano nella sollecitudine verso quanti ci vivono accanto.

Intorno a questi due nodi propongo alcune riflessioni sull’intreccio tra la responsabilità della salvaguardia del territorio e delle memorie che la Calabria custodisce e la responsabilità di creare opportunità di lavoro per i giovani per evitare che continuino ad emigrare. Non c’è dubbio che sono soprattutto i giovani di oggi a disegnare il futuro della regione, se potranno restare a vivere ed operare in essa.

Piantumazione di un melograno nella piazza antistante il complesso interparrocchiale San Benedetto da parte del vescovo della Diocesi di Lamezia Terme, monsignor Giuseppe Schillaci.

La salvaguardia del territorio comporta la tutela delle sue specificità ambientali, delle sue capacità produttive, delle sue filiere tradizionali di colture e prodotti, ma anche la salvaguardia del suo patrimonio materiale e immateriale; per farlo occorrono le persone che dispongano di professionalità adeguate con conoscenze e capacità progettuali e manageriali, per riconoscere, conservare, e tramandare le sopravvivenze del passato come memoria del futuro.

Per fare impresa e creare lavoro la Calabria bisogna imparare ad usare meglio le risorse di cui dispone, e di quelle culturali in particolare, che costituiscono un patrimonio non meno ricco di quello di altre regioni che ne hanno fatto un volano della propria economia. Ancora molti in Calabria ne ignorano la consistenza e ne sottovalutano l’importanza.

Tra le nostre risorse ambientali non c’è solo il mare, con una fascia costiera lunga ben 775 km, a tratti colpevolmente deturpata da abusivismo edilizio e messa a rischio dall’inquinamento indotto dalla pessima gestione dello smaltimento dei rifiuti e delle acque. Ci sono anche le aree interne e quelle di montagna, che costituiscono più dei 3/4 del territorio regionale. In esse ricadono Parchi nazionali e regionali, Riserve naturali a carattere nazionale, regionale e locale più numerosi che in qualsiasi altra regione. Al loro interno si conservano preziose specificità di boschi secolari, specie rare, macchia mediterranea, colture specializzate antiche e moderne, ed ancora attività artigianali nei settori del tessile, della lavorazione del legno, della produzione e conservazione dei cibi che rimangono di nicchia, asfittici e a rischio estinzione. Qualche promettente segnale di attenzione viene di recente da programmi specifici nazionali ed europei per le aree interne, con opportunità che in Calabria è necessario saper cogliere.

C’è poi un paesaggio da custodire meglio di come sia stato fatto nel passato recente, calando l’insegnamento della «Laudato sî» di Papa Francesco nella responsabilità dei cristiani calabresi, che è quella di custodire il pezzo di creato in cui viviamo, con le sue caratteristiche, con i suoi numerosissimi borghi, con le architetture disegnate dai secoli o dai millenni passati, chiese, monasteri, castelli, edifici storici che sono stati riferimento spirituale, morale, civico di generazioni lontane e luoghi intorno ai quali si è organizzata e svolta la loro vita comunitaria.

In molti di essi si conserva ancora un ampio patrimonio storico-artistico che solo l’occhio esperto sa riconoscere, illustrare e raccontare ai contemporanei. Certo, le città d’arte come Venezia, Firenze, Roma ne hanno in maggiore quantità e di maggiore rilevanza, ma l’articolo 9 della Costituzione italiana non fa distinzione sul grado di importanza dei beni da tutelare, insiste sul valore di testimonianza storica che essi rivestono per le comunità a cui appartengono, perché di stratta di beni ‘meritori’ che riguardano il capitale umano, al pari dell’istruzione, e rappresentano un lascito inalienabile per le generazioni future; sono beni ad utilità crescente, o additiva che arricchiscono le persone e acquistano valore quante più persone ne usufruiscono. Merita ricordare che i beni storico-artistici della nostra regione sono conservati per la maggior parte nelle chiese o nei preziosi Musei diocesani, e passano inosservati sotto i nostri occhi poco abituati a soffermarsi su di essi e a riconoscerne il valore non solo sotto l’aspetto artistico, ma anche sotto quello di muta predicazione, di catechesi con l’arte, che il Magistero della Chiesa da anni invita a riscoprire e valorizzare.

E poi ci sono i beni archeologici, non sempre monumentali come altrove per terremoti e alluvioni che hanno sempre afflitto la nostra regione, ma presenti e diffusi pressoché ovunque e con siti di rilevanza internazionale come Sibari, Crotone, Locri e con Parchi archeologici e Musei territoriali statali e civici, che custodiscono, preservano e offrono ai visitatori una campionatura di reperti di valore incommensurabile per la loro unicità; basti ricordare per tutti il Museo di Reggio Calabria.

Ci sono ancora archivi e biblioteche, diocesani, civici e nazionali, depositi di storia e di cultura, da rinnovare nell’uso con ricorso alle nuove tecnologie, per renderli sempre meglio fruibili alle nuove generazioni e per non disperderne la memoria, ed anche tutto quel patrimonio immateriale diffuso di tradizioni, riti, canti, consuetudini che nelle aree interne si sono conservate meglio che altrove e continuano ad esprimere un forte tratto identitario per le singole comunità calabresi. Sono dunque tanti e di diverso genere le risorse ambientali e culturali della regione, anche se ancora molti Calabresi ne ignorano consistenza e valore.

Risale agli anni ’90 del secolo scorso una più incisiva attenzione ai beni culturali, sollecitata da direttive europee, da regolamenti e normative italiane confluite prima nel Testo Unico dei BB.CC. (1999) e poi nel Codice dei BB.CC. (2004). Anche la Chiesa già nel 1995 aveva istituito l’Ufficio nazionale dei Beni Culturali ed emanato orientamenti e direttive al riguardo.

A quel tempo risale l’inizio di una mia esperienza diretta in attività progettuali e di formazione nel settore, ispirata dallo sforzo di aprire nuove opportunità di inserimento nel lavoro per i nostri giovani laureati. Nel 1997 colsi l’opportunità di un bando dell’allora Ministero del Turismo per creare nell’Università della Calabria il Centro Herakles per lo sviluppo del turismo culturale, finalizzato al censimento del patrimonio culturale della regione in senso lato, alla creazione di percorsi di turismo culturale integrato nelle diverse aree; con un ulteriore progetto europeo e col concorso di altre quattro università europee, lavorammo alla definizione di un profilo professionale specifico in Mediazione e gestione del patrimonio culturale in Europa, e per un decennio abbiamo attivato un Master biennale post-laurea, conseguito da molti giovani calabresi e stranieri.

Un altro progetto specifico realizzato tra il 2006 e il 2009 è stato dedicato alla definizione del Distretto turistico nell’Area dell’Istmo, come si stava facendo allora in altre parti d’Italia; ma anche sui distretti turistici la Calabria è ancora alle primissime esperienze: c’è quello dell’Altipiano della Sila e sta nascendo quello dei comuni dello Ionio da Scolacium a Kaulonia, ma non mi pare se ne intravedano ancora gli effetti.

Negli ultimi vent’anni sono stati attivati nelle università calabresi corsi di laurea triennale e magistrale in Beni culturali, in Architettura e patrimonio, in Scienze Turistiche, in Diagnostica e restauro di beni culturali e altro ancora. Tra quelli formatisi in Calabria e quelli formatisi o specializzatisi fuori c’è ormai un esercito di giovani e ahimè non più giovani che hanno il profilo professionale di archeologi, storici dell’arte, architetti, restauratori, esperti di turismo, bibliotecari, archivisti, informatici esperti di applicazioni ai beni culturali, con le competenze giuste, e spesso affinate da lunghi tirocini, per lavorare in questo settore e anche per fare impresa in questo settore. Per i vari livelli di formazione lo Stato ha speso e continua a spendere tanto, anche nella nostra regione, ed è un capitale umano che può dare un grande contributo alla Calabria solo che non lo si lasci ai margini costringendolo a ripiegare per vivere su un lavoro da call-center oppure ad emigrare altrove.

Solo l’anno scorso sulla piattaforma del Ministero sono stati aperti dei bandi per la registrazione nelle professioni legate ai beni culturali a seconda dei diversi profili e dei diversi livelli di formazione e di esperienza lavorativa, ma l’inclusione negli elenchi non garantisce l’accesso al lavoro e non impedisce ad altri non inscritti negli elenchi di lavorare ugualmente nel settore della gestione dei beni culturali. Grandi opportunità lavorative può offrire a questi professionisti il settore turistico, in costante espansione, in cui l’iniziativa privata ha un campo più largo di operatività.

Se ci fermiamo un attimo a considerare in che consista il turismo in Calabria, dobbiamo ammettere che esso è prevalentemente inteso come turismo balneare, fortemente stagionalizzato con un picco tra 15 luglio e 15 agosto, fatto di recettività in grandi alberghi o grandi complessi residenziali in riva al mare nei tratti più suggestivi delle nostre coste, che di solito offrono al loro interno sia una ristorazione di tipo internazionale, sia attività standard di animazione e svago. Fanno anche grandi numeri e molti sono i turisti stranieri che li frequentano, ma il resto della Calabria non li vede, se non quando atterrano all’aeroporto e quando ripartono.

Fanno eccezione alcuni centri che si sono attrezzati anche per un’ospitalità diffusa, capaci di offrire una buona qualità di servizi, una ristorazione tipica in piccoli locali bar pizzerie, botteghe di prodotti e manufatti tipici e un’animazione culturale diversificata all’interno del borgo, con itinerari culturali, mostre, sagre, concerti. L’esempio migliore è Tropea, ma ce ne sono anche altri che si sono attrezzati con lungimiranza, come Altomonte da più tempo o Civita negli ultimi anni, o lo stanno ancora facendo come Schiavonea a Rossano-Corigliano. Però sono singole località, non c’è ancora un forte raccordo territoriale di sistema. Anche la destinazione recente in Calabria di fondi europei ai Borghi per riqualificare i territori e favorire un turismo diffuso darà i suoi frutti se contestualmente si lavorerà ad un marketing territoriale serio, che coniughi specificità locali, risorse culturali di un bacino territoriale più ampio e risorse umane disponibili.

Da poco la Regione si è dotata della piattaforma TourisCalabria, come stanno facendo anche singole agenzie di viaggio, per mostrare il ventaglio delle possibili destinazioni turistiche, come raggiungerle, cosa poter vedere o fare. Bene. È importante tuttavia che le opzioni possibili vengano incrementate includendo le aree interne e di montagna e che tutte si dotino realmente di una rete locale organizzata ed efficiente per offrire servizi logistici e culturali di qualità.

Esistono buoni esempi riusciti e promettenti di iniziative private locali di valorizzazione turistica di specificità ambientali, come le gole del Raganello, le cascate della valle del Lao, le Valli cupe, oppure proposte di percorsi tematici, come il Percorso basiliano che sarà presentato tra poco, o altri percorsi a carattere ambientale e culturale non tematici, come il Cammino Kalabria coast to coast inaugurato da poco, con l’attraversamento guidato delle Serre dallo Ionio al Tirreno.

Per la varietà dei beni ambientali e culturali di cui disponiamo nell’intero territorio, percorsi tematici ed esperienze immersive nella natura dei luoghi se ne possono creare tanti altri. Ma per queste iniziative più innovative non bastano le solite guide turistiche o i tour operator tradizionali. Occorrono professionalità nuove: indicate come Destination manager o Travel designer o Travel Organizer, esse evidenziano la necessità di competenze di marketing territoriale per la valorizzazione dei centri storici e delle loro comunità; di capacità manageriali nell’ideazione di percorsi turistici integrati, con mete insolite e di interesse particolare e dell’organizzazione complessiva di viaggio, accompagnamento, narrazione ecc. in modo da accendere i riflettori su paesaggi, folklore e saperi unici, in un processo che sostiene le attività imprenditoriali del territorio, ha un forte valore sociale per le comunità coinvolte in termini di ritrovata identità e produce economia diffusa. Non è vero che con la cultura non si mangia. L’economia della cultura è ormai una scienza insegnata nelle università; è un’economia da saper attivare, non solo nel settore pubblico ma soprattutto in ambito privato. Un’economia che non decolla con l’improvvisazione e l’approssimazione, ma richiede competenza, impegno e capacità di lavorare insieme coinvolgendo più attori, più soggetti, più territori, più persone.

Creare nella regione opportunità di lavoro stabile coniugando beni culturali e turismo è una responsabilità precisa che ci interpella come cristiani. Le radici del futuro della Calabria stanno anche qui, nel valorizzare le sue risorse culturali e ambientali per dare un futuro ad esse e soprattutto alle sue risorse umane.

Sul come farlo, le proposte operative vanno cucite sui singoli ambiti territoriali alla fine di un processo di studio e di conoscenza approfondita per ciascuno di essi.

Mi preme tuttavia sottolineare alcune esigenze di ordine generale:

  1. la formazione, che richiede alti livelli di competenza e professionalità.
  2. Il reclutamento dei professionisti del settore in base al profilo richiesto che riconosca e premi le competenze specifiche, sottraendolo all’arbitrarietà o a clientelismo dei possibili datori di lavoro, pubblici o privati che siano.
  3. la retribuzione delle prestazioni professionali in questi settori, per la dignità stessa delle persone che mettono in campo la loro preparazione e disponibilità per svolgere un servizio alla collettività, ad un pubblico più o meno ampio, al visitatore, al turista. La gratuità va bene per altre attività sociali, qui può essere una eccezione, non la regola.
  4. Ne aggiungo una quarta, a mio avviso ancor più importante: la capacità di organizzarsi in gruppi, cooperative, associazioni, imprese per servizi culturali e/o turistici, con profili diversificati e complementari al loro interno, in grado di concorrere a bandi per la gestione delle diverse attività che sempre più spesso vengo offerti all’iniziativa privata in questi settori.

Giovanna De Sensi Sestito al Convegno annuale sulla Magna Grecia di Taranto

Forse è proprio su questo punto che occorre un più incisivo accompagnamento al fare impresa nel settore, e un supporto stabile potrebbe essere offerto da un Laboratorio/Ossevatorio/Centro  (quale che sia il nome da dargli) a carattere regionale ma sganciato dalla politica.

Redazione

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