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Re Italo e gli Enotri: le ragioni di un premio di Giovanna De Sensi Sestito

Il Premio Re Italo, Terra degli Enotri ha celebrato il 15 marzo 2024 la sua seconda edizione, che ha registrato il coinvolgimento attivo, accanto alle associazioni promotrici di ACLI, Circolo “Don Saverio Gatti” di Lamezia Terme, ed Acli Terra Calabria, anche della società Lamezia Europa, della Fondazione Augurusa, dell’UCID Calabria e del Comune di Lamezia Terme. Grandi sono stati anche la partecipazione di pubblico e l’interesse suscitato dall’iniziativa.

Le ragioni della creazione del Premio sono state illustrate dall’ideatore e Presidente del Premio, Pino Campisi, che ha tutto il merito di aver coltivato a lungo l’idea e di averla alla fine realizzata con la finalità di far conoscere quanto di bello e di buono i Calabresi hanno saputo e sanno ancora fare, per imprimere uno stimolo forte e l’impegno a ripartire dalle nostre positività, per rilanciare lo sviluppo economico, sociale e culturale di cui la Calabria ha assolutamente bisogno. Ragioni e finalità che anch’io condivido da sempre e che mi sento impegnata a sostenere quando nascono iniziative capaci di promuoverle, come questa ha dimostrato essere.

Le riflessioni che seguono sono quelle da me proposte in quella sede per chiarire dal punto di vista storico e scientifico il fondamento “culturale” della doppia intitolazione del Premio, che mette insieme un dato geografico, la terra degli Enotri, e un dato mitico, il re Italo, con l’intento di consolidare i valori di riferimento, sottraendoli a fraintendimenti e inopportune semplificazioni.

La geografia storica colloca la Calabria attuale (che ha preso tardi questo nome) nella parte meridionale della terra degli Enotri, l’Oinotrìa, che comprendeva anche l’intera Basilicata. Nome antico del popolo indigeno e denominazione geografica realmente esistenti, documentati ed ora diventati ben riconoscibili attraverso dalle indagini archeologiche, che ne hanno identificato molti insediamenti, tante necropoli, tantissimi reperti che ne esprimono la cultura materiale.

I Greci avevano già avuto occasione di entrare in rapporto con alcune comunità di Enotri insediate in prossimità di approdi naturali fin dalla seconda metà del II millennio a.C. durante viaggi per mare affrontati per secoli alla ricerca di materie prime. Ma verso la fine dell’VIII sec. a. C., gruppi di greci erano arrivati a prendere possesso delle terre migliori degli Enotri e tra scontri violenti e necessari rapporti e adattamenti reciproci avevano finito per convivere nelle due regioni, i Greci nelle città fondate sulle coste (col loro vasto territorio nell’entroterra), gli Enotri rimasti ad abitare quasi solo nei loro villaggi dell’interno.

Nel corso del VI secolo a.C. e stabilmente dal V compare nei testi antichi la denominazione geografica di Italìa che finisce poi per sostituire quella di Oinotrìa. In questa sostituzione c’entrano ovviamente i Greci, ma più che sulla reale origine del nome Italìa, molto discussa già in antico, è importante fermare l’attenzione sul passaggio dalle due denominazioni geografiche ai progenitori mitici da cui sarebbero derivate.

Come sappiamo da Omero, da Esiodo, dai tanti poeti arcaici, i Greci avevano raccontato l’origine del mondo, degli dei e degli uomini, e poi dei vari popoli – a cominciare da quelli della Grecia stessa – creando genealogie e ponendo all’origine di ogni popolo un progenitore mitico, che avrebbe dato nome alla stirpe e alla regione da essa abitata in età storica: Eolo per gli Eoli e l’Eolide, Ione per gli Ioni e la Ionia, Doro per la Doride, e così via. Lo stesso fecero i Greci d’Occidente per i popoli dei quali avevano occupato le terre in Italia meridionale e in Sicilia o con i quali erano entrati in relazione nella penisola. Il più antico di questi progenitori mitici venne considerato Enotro, che sarebbe giunto dal cuore della Grecia, dal Peloponneso, addirittura 17 generazioni prima della guerra di Troia (1600 circa a.C.), a cercare terre migliori in Occidente assieme al fratello Peucezio, eponimo del popolo dei Peucezi della Puglia. L’attribuzione di una sia pur lontanissima consanguineità e parentela era servita a legittimare la presa di possesso delle terre degli Enotri e dei Peucezi da parte dei coloni greci che avevano fondato in Calabria Sibari, Crotone, Caulonia, Locri, Reggio, e ancora Metaponto in Basilicata, Taranto in Puglia. Era servita a consolidare processi di integrazione, di complementarità economica, di convivenza pacifica, di acculturazione.

Anche il nome più recente di Italìa ricevette dalla fervida fantasia dei Greci il suo progenitore mitico, Italo, che sarebbe stato un re degli Enotri solo tre generazioni prima della guerra di Troia, il quale avrebbe avuto il merito di rendere stanziale il suo popolo di pastori transumanti abituandoli a praticare l’agricoltura in sedi stabili. Dobbiamo allo storico siracusano Antioco, che nella seconda metà del V sec. a.C. aveva scritto una storia proprio Sull’Italìa (nota solo per alcune citazioni), la precisazione che le dimensioni del regno, che da Italo avrebbe preso il nome di Italìa, all’inizio comprendeva solo le terre dall’istmo lametino-scilletino fino allo stretto e poi, sotto lo stesso re, avrebbe raggiunto i confini dell’attuale Calabria. Un secolo dopo Aristotele raccoglie anche altre notizie e nell’opera La Politica aggiunge particolari che connotano ancora meglio la figura del re Italo come un eroe culturale: buono e saggio, il re avrebbe unito progressivamente le varie tribù di tutto il territorio, avrebbe introdotto delle leggi rimaste salde nel tempo, tra cui i sissizi, frugalissimi pasti in comune degli uomini in armi, che sarebbero stati addirittura anteriori a quelli che la tradizione greca attribuiva a Minosse, il mitico re di Creta, per i Greci legislatore insuperabile. L’immagine di re Italo creata per l’occasione dall’artista Max Marra ne offre un’efficace raffigurazione. Le doti attribuite al re Italo implicitamente definiscono quelle del suo popolo, unificato, valoroso, laborioso, dedito alla pastorizia e all’agricoltura (come la maggior parte dei popoli greci, e non solo in età arcaica), saldo nel rispetto delle proprie buone leggi.

Il fatto che storici e filosofi autorevoli facciano riferimento a eroi ed eventi del lontano passato non trasforma né gli uni né gli altri in fatti e personaggi storici. Ma non serve qui fermarsi a indagare quale funzione fosse stata attribuita da Antioco o da Eforo o da Aristotele alla figura mitica di Italo. Un mito è un mito, e può assumere nel tempo un valore sempre nuovo e diverso, funzionale a coloro che se ne riappropriano per avallare qualcosa che da quel mito possa trarre un punto di forza. È ormai nota la scelta per L’Aquila come città della cultura 2026. Ma qualche giorno prima un quotidiano del Molise aveva provato a sfruttare come punto di forza proprio il nome «Italia» per far cadere la scelta su Agnone, perché quel nome a dire di dotti locali si sarebbe imposto con la rivolta contro Roma delle popolazioni del centro della penisola escluse dalla cittadinanza romana, che avevano collettivamente assunto il nome di Italici (guerra sociale, 90-88 a.C.). In verità il nome Italia si era esteso al resto della penisola già due secoli prima, quando Roma aveva conquistato la Magna Grecia, l’antica Italìa.

Che uso intende fare del re Italo questo Premio? Non certo un uso retorico, o consolatorio, o nostalgico del passato, o per accampare rivendicazioni inconsistenti, come purtroppo spesso fanno troppi Calabresi quando rievocano perduti splendori.

Il re Italo rimanda nel nome alla Calabria «prima Italia» e come eroe culturale richiama le peculiarità economiche reali e persistenti della regione, agricoltura e allevamento; racchiude nella sua immagine mitica i valori positivi della saggezza, delle capacità organizzative, di processi di unione e di condivisione di leggi, costumi, pratiche comunitarie. Un premio intitolato al re Italo vuole essere dunque un invito alla ripartenza, alla ricerca di tutte quelle realtà positive che in Calabria ci sono ancora, nei vari campi di attività, e sulle quali è doveroso riannodare un racconto positivo di quello che la regione è e può ancora dare a tutta l’Italia, oggi e nel futuro.

La scommessa implicita degli organizzatori del Premio, come la speranza di quanti ne condividono le finalità, è che cresca la consapevolezza delle tante positive opportunità ancora presenti in Calabria, e che siano sempre più numerosi i giovani disposti a restare o a tornare per mettersi in giogo nel creare innovazione facendo tesoro della tradizione come punto di forza.

 

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