mons. Francesco Savino

Messaggio del Vescovo di Cassano all’Jonio, mons. Francesco Savino, rivolto ai giornalisti in occasione della festa del Patrono, San Francesco di Sales, che ricorre oggi, 24 gennaio.

Nell’auditorium del Seminario diocesano “Giovanni Paolo I”, di Cassano allo Ionio, il presule ha incontrato gli operatori dell’informazione esprimendo loro gratitudine per ciò che fanno per comunicare il territorio. 


Cari amici giornalisti, un cordiale saluto a tutti e a ognuno di voi. Mi piace salutarvi e porgervi il benvenuto con la parola “sentinelle”, perché credo che questo termine esprima molto bene il vostro compito di operatori dell’informazione e conferisca alla vostra attività, al vostro quotidiano esercizio professionale, il senso di una vera e propria missione al servizio della vostra, della nostra terra.

Sentinelle, dunque, animate da tutte quelle irrinunciabili virtù che ne fanno una presenza e una risorsa preziose per una comunità. Innanzitutto la virtù di stare tra la propria gente, di conoscerla, di ascoltarla, di raccontarla. Poi la virtù del vigilare, di essere svegli, di saper guardare lontano, anche sotto e oltre le coltri del silenzio, dell’indifferenza, della paura, di avvistare i pericoli, di mettere in guardia, di aiutare nel cammino lungo i sentieri di una vita sociale che spesso si inerpica e trova ostacoli.

Questo nostro incontro vuole anche essere un modo per dirvi che non siete soli ed esprimervi la gratitudine per quello che, spesso tra non poche difficoltà e non molte gratificazioni, fate ogni giorno per illuminare questo territorio. Vi chiedo di continuare a farlo, accendendo le fiaccole, mi verrebbe da dire le fiaccole della vostra professione, soprattutto su tutte le periferie esistenziali, personali e sociali della nostra diocesi.

Come sapete, il Santo Padre, Papa Francesco, ha intitolato il Messaggio per la 54esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali che si celebra nel 2020, con questa frase: “Perché tu possa raccontare a fissare nella memoria” (Es 10,2). “La vita si fa storia”.

Con la scelta di questo tema, tratto da un passo del Libro dell’Esodo, Papa Francesco ha voluto sottolineare come sia particolarmente prezioso, nella comunicazione, il patrimonio della memoria. Tante volte il Papa ha sottolineato che non c’è futuro senza radicamento nella storia vissuta. E ci ha aiutato a comprendere che la memoria non va considerata come un “corpo statico”, ma come una “realtà dinamica”.
La memoria cioè non può essere ridotta a semplice elemento passivo, anonimo o nostalgico: essa riceve il proprio valore e la propria forza in quanto parte della storia e della vita delle persone e dei popoli, loro elemento costitutivo da trasmettere di padre in figlio, di generazione in generazione. E ad ognuno di questi passaggi la memoria acquista nuovo vigore, tanto da dover essere accompagnata da verbi da coniugare al futuro e non certo al passato.

Fare memoria permette di guardare i fatti e gli avvenimenti dell’oggi con occhio diverso ed è un mezzo davvero potente per aiutarci a superare le paure e ad abbattere i pregiudizi ed i confini innalzati da chi vorrebbe rimuoverla dalla storia dei popoli e di ognuno di noi.

L’atto della memoria è essenzialmente e primariamente un atto di verità. Osservava il filosofo francese Paul Ricoeur che “al di là delle trappole che l’immaginazione tende alla memoria, si può affermare che nell’ambizione di cogliere la cosa passata è contenuta un’esigenza specifica di verità. La nostra libertà – sono ancora parole del filosofo francese – dipende dalla nostra capacità di integrare il passato nel presente”.

Un tema, quindi, che stimola in maniera particolare quanti, come voi, sono chiamati, nelle redazioni dei giornali, a svolgere quotidianamente il proprio servizio attraverso le parole e ad essere testimoni ed organizzatori della speranza. Ogni racconto non può davvero prescindere dalla memoria e ogni memoria non può che basarsi sui racconti, sulla narrazione, sull’uso delle parole. Mi piace citare il primo versetto del Vangelo di Giovanni che in modo lapidario dice: “In principio era il verbo”.

Il verbo, la parola, il che vuol dire che la parola è preziosa, un bene da maneggiare con cura, senza sprechi né eccessi. Forse, a volte, il segreto della comunicazione è nel togliere più che nel mettere. Nella comunicazione veramente umana non c’è bisogno di artifici. La parola basta, una parola capace di splendere nel silenzio, che ha bisogno del silenzio, suo grembo, per nascere, vivere e splendere. Una parola che sia buona, giusta e vera. Perché la comunicazione e quindi la costruzione della memoria, ha bisogno di parole vere in mezzo a tante parole vuote.
In questo sta tutta la grandezza della responsabilità a cui è chiamato, direi è “vocato” il mondo dell’informazione: le vostre parole raccontano il mondo e lo modellano, i vostri racconti possono generare spazi di libertà e di schiavitù, di responsabilità e di dipendenza dal potere.

Per recuperare questo senso profondo della parola e della sua capacità di raccontare la realtà, dobbiamo liberarla da ogni artificio, da ogni inutile orpello, dobbiamo tornare alla nuda verità delle cose, delle persone e dello loro storie.

Ancora una volta ci viene in aiuto Papa Francesco: davvero possiamo e dobbiamo andare tutti a scuola da lui a prendere lezioni di comunicazione! Perché una comunicazione sia efficace ed essenziale – dice il Papa – dobbiamo rimettere al centro il sostantivo al posto dell’aggettivo. Siamo caduti nella cultura degli aggettivi e degli avverbi e abbiamo dimenticato la forza dei sostantivi. Il comunicatore deve far capire il peso della realtà dei sostantivi che riflettono la realtà delle persone. Comunicare con la realtà, senza edulcorare con gli aggettivi e gli avverbi. Dobbiamo restituire alla verità la forza del suo essere nuda.

La cultura dell’aggettivo rischia di fare molti danni, perché la primazìa dell’aggettivo porta alla logica dello scarto, il qualificare una persona porta inevitabilmente alla selezione e alla esclusione. Di fronte alla vita – ci ricorda Papa Francesco – non deve prevalere il criterio della qualità ma della dignità, ma serve una comunicazione capace di accogliere e raccontare la vita così come è, nella sua irripetibile unicità ed essenzialità.

Dare un nome a tutte le cose – diceva il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges. Ecco una missione per voi tutti. Date a ogni cosa, a ogni persona, a ogni storia il loro proprio e distintivo nome. Così li sottrarrete a quel rumore indistinto che è la comunicazione globale al tempo dell’elettronica, in quella vetrina evanescente e senza storia che molto spesso sono i social, dove tutto è subito perso come acqua nel colabrodo. Una “rete” che ha la fluidità del fiume in piena ma anche, purtroppo, la fissità della gogna medievale.

Hegel definiva il giornale e la sua lettura la preghiera laica del mattino per un cittadino a pieno titolo. Questa espressione me ne ha subito richiamata alla mente un’altra e cioè che il cristiano dei tempi moderni o ormai post moderni, si caratterizza per il fatto che sulla scrivania ha da una parte la Bibbia e dall’altra il giornale. Una frase più volte ripresa da don Tonino Bello, nella sua straordinaria testimonianza evangelica come pastore della chiesa del grembiule nella diocesi di Molfetta.

E’ un’espressione che risale al maggiore teologo protestante del XX secolo, Karl Barth e indica a tutti la necessaria attenzione che deve essere riservata al presente e a quanto accade nel mondo. Siamo chiamati a scegliere e agire nel presente. Dobbiamo comprendere. Dobbiamo cogliere e leggere i segni dei tempi. E qui entra di nuovo prepotentemente in campo il giornalismo, la vostra missione, nell’aiutare tutti a capire quello che accade.

Anche un grande politico, Giorgio La Pira, il sindaco santo di Firenze, ripeteva che il cristiano deve pregare contemplando il mappamondo sul comodino. E’ l’asse della umanità vissuta sul quale anche voi vi giocate la vostra professione, i due poli tra cui esercitate il vostro diritto di informare. Dio, il cielo, la Bibbia da una parte. L’uomo, la terra, dall’altra. Per chi non crede in Dio potremmo dire: il senso globale delle cose, la visione metastorica, l’orizzonte complessivo da una parte. La concretezza, il mappamondo, il giornale dall’altra. Chi non fa sintesi partendo da questi due punti di fuga, non potrà essere un “uomo di misericordia” e quindi un buon giornalista.

Ecco dunque disegnata la straordinaria dimensione del vostro mestiere che ogni giorno, ogni momento, deve “sapere” di umano, nel senso più bello e più ampio di questa parola, di questo verbo declinato non solo per conoscere ed esplorare le vie della conoscenza, dell’intelletto, ma anche o soprattutto quelle del cuore, delle vite delle persone, soprattutto delle più umili, delle più nascoste, delle più invisibili. Aiutateci a riscoprire e a raccontare, di nuovo, l’uomo.

Il web è ormai diventato il recinto nel quale ci siamo rinchiusi nell’illusione che ci racconti la vita vera. La nostra relazione con il mondo avviene ormai quasi tutta in quel perimetro, permettiamo a pochi pollici digitali di narrarci le cose lontane e sconosciute ma che tali in realtà rimangono. La narrazione elettronica ha spento in noi il senso della curiosità, della scoperta, delle domande, delle ricerche di senso.

Ed è particolarmente rischioso che lo spenga in voi, cari amici giornalisti, che invece nella continua scoperta, nel continuo interrogare il mondo raccontandolo, nella costante attenzione ai segni dei tempi dovete avere la vostra stella polare. E’ questo il vostro importante e meraviglioso compito: allargare il vostro e il nostro sguardo, ampliare la vostra e la nostra consapevolezza.

Diceva Einstein: “Chi non riesce più a provare stupore e meraviglia è già come morto e i suoi occhi sono incapaci di vedere”. Fate dunque e siate come i pastori del presepe: avendo nel cuore inesauribili riserve di meraviglia e di semplicità, i pastori partirono senza indugio, senza frapporre lentezze e ritardi, come in genere facciamo noi quando ascoltiamo il Vangelo. Essi obbedirono senza aggiunte, andarono nella notte a vedere la grande luce.

E’ questo l’augurio che con cuore di pastore anche io faccio a tutti voi, fatevi tedofori, portatori di luce, illuminate il cammino degli uomini e delle donne del nostro tempo, della nostra terra. I pastori parlavano a tutti della luce che avevano visto e quelli che li udivano si stupivano delle cose che dicevano. Se ci lasciamo coinvolgere dallo stesso stupore lo comunicheremo anche noi. Sia questa la vostra missione: uno stupore che si comunica e che si irradia.
Buon anno e buon cammino a tutti voi.
Grazie.

Cassano all’Jonio, 24 Gennaio 2020
Memoria di San Francesco di Sales
patrono dei giornalisti

✠ Francesco Savino

 

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